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L’arte ha sempre avuto un ruolo chiave nella storia umana, almeno prima di essere quasi del tutto sostituita dalla fotografia e da una maggiore diffusione della stampa.

Prima di allora quadri, sculture o incisioni erano l’unico modo per fermare lo scorrere del tempo, l’unica via attraverso cui potevano viaggiare volti, idee e paesaggi e l’unico mezzo con cui si poteva orientare l’opinione pubblica.

Un punto di riferimento del gusto pittorico delle corti europee per oltre due secoli fu il “Salon” parigino, attivo sin dal 1667. Queste mostre furono una realtà con cui gli artisti francesi dovevano per forza confrontarsi: per capire la portata di quest’evento che, inizialmente biennale, divenne annuale a partire dal 1863, basti pensare la non ammissione di alcune opere fece nascere una delle correnti artistiche più famose di sempre: l’impressionismo.

Ferdinando IV, che dopo la Restaurazione prese il nome di Ferdinando I delle Due Sicilie, aveva scorto nell’arte un mezzo fondamentale per riaffermare il proprio potere: tornato stabilmente a Napoli, nel 1816 ordinò la costruzione della chiesa di San Francesco di Paola e, sulle orme di suo padre, continuò i lavori della reggia di Caserta e gli scavi di Pompei ed Ercolano.

Ma il suo intervento più forte riguardò la riabilitazione della propria immagine. Dopo un lungo periodo di lontananza dal popolo, anni in cui aveva perso la moglie Maria Carolina d’Austria, si era risposato con una duchessa siciliana ed appariva fisicamente più anziano, cercò di ripristinare il suo potere anche attraverso numerosi ritratti.

Nel primo in cui posò dopo aver acquisito il titolo di re delle Due Sicilie, eseguito da Giuseppe Cammarano nel 1815, è facile intuire dettagli che, inconsciamente, avrebbero potuto ispirare fiducia nel sovrano da parte del popolo:

Giuseppe Cammarano, Ritratto di Ferdinando I, 1815. Caserta, Palazzo Reale.

(Cammarano) raffigura Ferdinando, appena rientrato a Napoli, in alta uniforme colma di onorificenze, pronto a difendere il suo regno, come mostra la spada legata ai bianchi pantaloni, mentre ostenta sicurezza, come suggerisce il braccio poggiato su di una colonna in marmo, sulla quale è posta una statua bronzea della Giustizia. L’influenza della ritrattistica napoleonica è evidente non solo nella posa del re, […] ma anche nella veduta del golfo sullo sfondo; meno consueta nei ritratti borbonici precedenti, tale presenza diverrà invece ricorrente, almeno per i primi anni della Restaurazione, fino a quando cioè si avverte la necessità di ristabilire visivamente la relazione con il proprio territorio. [1]

Il connubio fra arte e potere venne portato avanti anche dal suo successore, Francesco I: per rendere Napoli al pari delle altre capitali europee nel sostegno le arti figurative il 4 ottobre 1826, giorno del suo onomastico, inaugurò delle esposizioni chiamate “Biennali Borboniche”.

Inizialmente era stato deliberato che dovessero avere cadenza annuale ma, a rettifica di questa decisione, nel 1827 venne emanato un nuovo decreto: le esposizioni si sarebbero tenute ogni due anni così da dare agli artisti un tempo sufficiente per la produzione di opere di un certo livello.

Grazie a queste mostre pittori provenienti da ogni parte del regno potevano farsi conoscere e ricevere commissioni, confrontarsi e, indirettamente, dare lustro alla potenza della monarchia: era il re, infatti, ad acquistare le opere più belle, che andavano ad arricchire il suo patrimonio e le pareti dei suoi Palazzi Reali di Napoli e Caserta e della reggia di Capodimonte.

Le Biennali Borboniche continuarono anche sotto il regno di Ferdinando II ma la loro inaugurazione avveniva il 30 maggio, giorno di San Ferdinando.

Con l’unità d’Italia e la caduta dei Borbone le Biennali cessarono. Oggi è possibile ammirare alcune delle opere acquistate durante questi eventi a Capodimonte, nella sezione “Ottocento Privato”.

Bisogna ricordare, però, che la necessità degli artisti di confrontarsi fra loro, ampiamente dimostrata nei quasi trentacinque anni di attività delle Biennali, continuò anche nel neonato Regno d’Italia attraverso l’Esposizione nazionale.

Queste mostre, a cadenza decennale, non erano più limitate solo all’ambito delle arti figurative, ma includevano anche espositori delle scienze, dell’agricoltura e delle industrie.

-Federica Russo

Fonti:

Mi sono imbattuta nelle Biennali Borboniche per caso, mentre eseguivo delle ricerche per un altro articolo. Non essendo un’esperta di storia dell’arte ho realizzato questo articolo a scopo illustrativo, per divulgare l’esistenza di queste esposizioni. Nel caso dovessero esserci imprecisioni nel testo, attendo segnalazioni per le dovute correzioni.

[1] Citazione di Giulio Brevetti, testo integrale consultabile a questo link

Per un interessante approfondimento sui pittori che hanno preso parte alle Biennali consiglio questo articolo di Paola Meneghello.

Inoltre è possibile visitare, prenotando, la sezione “Ottocento privato” della Reggia di Capodimonte; tutte le informazioni sono disponibili qui 

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