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parco dei murales
Parco dei Murales

Molte volte si dice che le opere d’arte debbano esistere solo nel luogo in cui sono state concepite. Si dice che l’artista quando dipinge o scolpisce lo fa immaginando l’opera in quell’esatto luogo. E’ questo il caso del Parco dei Murales di Ponticelli.

Dopo poche fermate dalla Stazione Garibaldi, con la Circumvesuviana, è possibile arrivare a Ponticelli. Bastano 5 minuti di cammino e si inizia a scorgere un grande murales:

Basta solcare il cancello rosso, sempre aperto, per accorgersi di trovarsi in un complesso di numerose abitazioni. Più di un centinaio di famiglie sono ospitate qui, e basta incominciare a soffermarsi su qualche murales per ritrovarsi subito qualche occhio curioso addosso balzato da chissà quale balcone. Il primo istinto sarebbe quello di passare avanti, non soffermarsi sulle case altrui.. ma grazie a Silvia Scardapane, capo staff di Inward Osservatorio sulla Creatività Urbana, il nostro viaggio all’interno del Parco Merola è stato ricco di emozioni e totalmente inaspettato.

La storia del parco dei Murales

Incominciamo con un po’ di storia: il Parco dei Murales, detto anche Parco Merola, purtroppo fino a qualche anno fa era soprannominato Parco dei Colli Sporchiun nome dispregiativo che per fortuna è stato totalmente abbandonato lasciando a questo complesso la libertà di comparire agli occhi del mondo come un importante centro di arte urbana. Ed è proprio questa la particolarità del parco: su ogni facciata, un artista diverso. Andiamo con ordine.

Una delle prime opere realizzate è proprio quella che salta più all’occhio, intitolata “Ael. Tutt’egual song’e criature” di Jorit Agoch, artista napoletano. Commissionata dall’UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Raziale, per festeggiare la giornata dell’8 Aprile dedicata ai rom, sinti e camminanti.  L’artista per l’occasione fece visita ad un campo rom dove trovò la sua musa, Ael, una bambina dallo sguardo magnetico che nel murales accenna ad un sorriso di perdono, in ricordo di un campo rom bruciato e delle difficoltà affrontate dalla sua comunità per essere accettata. Accanto ad essa Jorit rappresenta dei libri, poichè la stessa Ael confessò all’artista di voler studiare, di voler trovare un modo per far sì che la sua gente venisse accolta senza discriminazioni.

E da qui emerge uno dei concetti più importanti: la cultura è l’arma più potente. Il titolo, esclusivamente in napoletano, richiama una canzone di Enzo Avitabile che ben si collega ai segni che la bambina porta sul viso. Segni, quasi graffi, che riportano ad una cultura tribale, come segno di appartenenza ad una comunità: una comunità in cui tutti sono uguali. Assieme ai libri ritroviamo anche alcuni giocattoli, tema che viene ripreso nella facciata speculare:

“‘A pazziell ‘n man ‘e criature”– il parco dei murales

“‘A pazziell ‘n man ‘e criature” ad opera di ZED1, artista toscano. Gli elementi del disegno erano stati decisi a priori dall’autore solo all’80%, ci hanno pensato i bambini del posto a suggerirgli come completarlo.

Ed è proprio per i bambini che è stato disegnato un fucile di legno, ma spezzato, per fargli capire che la violenza non deve esistere, neppure per gioco. Girando lo sguardo verso sinistra si è subito colpiti da intensi colori:

Lo trattenemiento de’ peccerille” a sinistra e “A pazziell ‘n man ‘e criature” a destra

“Lo trattenemiento de’ peccerille” di Mattia Campo Dall’Orto, friuliano. Il titolo si rifa al sottotitolo de “Lo cunto de li cunti” di Giambattista Basile. In questo caso la parte sottostante è anch’essa dipinta, e subito i bambini, che come angeli custodi ci hanno seguito per tutta la visita, ci hanno tenuto a puntualizzare che sono stati loro a dipingerla e che sono molto gelosi della sua manutenzione.

E qui, come nel caso di Ael, le persone rappresentate sono abitanti del posto: alcuni di loro tornano con orgoglio a rivedersi ogni giorno, come la piccola Rosa che si è divertita a scorrazzare per il cortile con la macchina fotografica in mano, o come Leone, il cane alato, che gironzolava sempre scodinzolando.

L’intento dell’artista era quello di far sì che leggendo le fiabe di Basile, i bambini le immaginino popolate dagli eroi del murales, eroi di tutti i giorni.

Ultimo murales, ma ancora per poco, affaccia direttamente sul cortile. Circa 400 mq di superficie, ad opera di Rosk & Loste, due artisti siciliani.

Commissionato e finanziato dalla Ceres, ma inaspettatamente il murales non ha nulla a che fare con la multinazionale o con il bere, la Ceres ha voluto investire in un progetto di riqualificazione delle periferie tramite la street art, realizzando opere d’arte, ma senza fare pubblicità. Il titolo è “Chi è vuluto bene, nun s’o scorda” frase che riprende “chi ama non dimentica” di Maradona. Rappresenta due bambini in attesa del rifacimento del campetto da calcio del cortile (progetto in fase di attuazione).

“Chi è vuluto bene, nun s’o scorda”

“Su Facebook passano molto facilmente le immagini, ma meno il significato delle opere, e questo è un peccato.”

E’ questa la frase con cui ci ha accolto Silvia, ed è questa la frase con cui voglio lasciarvi. A Napoli e fuori Napoli ci sono molte persone che dedicano la loro vita e il loro tempo ad aiutare gli altri, a far sì che il loro mondo si allarghi e che i bambini abbiano tutti le stesse opportunità.

Il mio augurio più sincero va a Silvia affinché continui con il suo lavoro meraviglioso, e alla piccola Rosa, sperando che realizzi i suoi sogni e perché no.. che diventi una grande fotografa! C’è del buono in questo mondo: basta solo tenere gli occhi aperti!

Foto di Roberta Montesano

Un ringraziamento speciale al professore Giovanni Gugg

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